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- Tesine : : : Il Secondo Dopoguerra e gli anni della "Guerra Fredda"

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::: Storia

Il secondo dopoguerra

La situazione Italiana dopo la fine della seconda guerra Mondiale

Conclusosi il secondo conflitto mondiale, L’Italia deve ristrutturare le sue istituzioni, per poter tornare alla democrazia. Tappa principale di questo processo di rinnovamento fu il 2 giugno 1946, data in cui fu indetto un referendum sulla forma dello stato (monarchia o repubblica) e le elezioni dei rappresentanti all'assemblea costituente, incaricata di redigere una nuova costituzione. Le votazioni a suffragio universale (per la prima volta in Italia votarono anche le donne) videro la vittoria della repubblica con il 54% dei voti. Per le rappresentanze all'assemblea costituente la grande maggioranza dei voti andò alla Democrazia cristiana (DC), erede del Partito popolare di don Sturzo, capeggiata da Alcide De Gasperi; al Partito socialista italiano (PSI) di unità proletaria, divenuto in seguito Partito socialista, guidato da Pietro Nenni; e al Partito comunista italiano (PCI) guidato da Palmiro Togliatti. Questi e altri partiti minori, tra i quali il Partito repubblicano italiano (PRI) e il Partito liberale italiano (PLI), che a quel tempo aveva alla presidenza Benedetto Croce e tra i suoi esponenti di rilievo Luigi Einaudi, collaborarono alla stesura della Costituzione italiana, che fissò i lineamenti istituzionali dello stato. Intanto i confini nazionali furono ritoccati dalla conferenza di pace per decisione delle quattro potenze vincitrici della guerra: Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica. L'Italia perse l'Istria, Fiume, Zara, le isole della Dalmazia e alcuni territori alla frontiera con la Francia (Briga, Tenda e altre zone di piccola estensione), mentre la città di Trieste fu sottoposta a un'amministrazione internazionale.
Per un lungo tratto della sua storia, dal 1947 al 1994, il sistema politico italiano fu caratterizzato da una forte continuità del quadro generale, dovuta al fatto che la DC mantenne una posizione centrale in tutti i governi che via via si succedettero, affiancata da partiti minori suoi alleati: Partito socialdemocratico (PSDI), sorto per iniziativa di Giuseppe Saragat da una scissione tra le fila socialiste; il Partito repubblicano (PRI), il cui leader fu Ugo La Malfa; il Partito liberale (PLI), guidato per molti anni da Giovanni Malagodi. Dall'esecutivo restarono escluse le altre forze politiche, tanto della destra, costituita dal Partito monarchico (fino al 1972) e dal Movimento sociale italiano (MSI), partito che si richiamava al fascismo, quanto della sinistra, costituita dal PCI e dal PSI.
Dal 1948 fino ai primi anni Sessanta, la DC associò al governo i partiti laici minori (PSLI, PSDI, PLI, PRI). Sotto la guida della DC l'Italia impostò la ripresa economica favorita dagli aiuti concessi dagli Stati Uniti nell'ambito del Piano Marshall: l'afflusso di capitali e di merci dagli Stati Uniti creò le condizioni per la ricostruzione dell'economia nazionale, avvenuta nell'ambito dell'inserimento dell'Italia nel blocco dei paesi occidentali contrapposto a quello dei paesi comunisti: nel 1949 l'Italia entrò nell'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO); nel 1952 aderì alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), primo organismo della futura Unione Europea; nel 1954 ratificò un accordo con la Iugoslavia che regolava la questione di Trieste; nel 1955 l'Italia venne ammessa alle Nazioni Unite.
L'equilibrio politico basato sui governi centristi si rivelò difficile da mantenere a causa soprattutto della debolezza dei partiti alleati. Lo si vide con il fallimento della legge elettorale del 1953, una legge maggioritaria definita dall'opposizione "legge truffa" che avrebbe garantito un premio di maggioranza alla coalizione che avesse superato il 50% dei voti. Alle elezioni di quell'anno la maggioranza di governo non varcò quella soglia, cosicché De Gasperi diede le dimissioni. Lo schieramento centrista entrò in una lenta crisi; con il passare del tempo anche all'interno della DC affiorarono posizioni che proponevano un'apertura verso sinistra, al fine di intraprendere una serie di riforme sociali ed economiche e garantire l'esistenza di esecutivi stabili e autorevoli.
Negli anni Cinquanta e Sessanta l'Italia si trasformò da paese agricolo a paese industriale: l'industria fece registrare un rapido sviluppo raggiungendo posizioni d'avanguardia in alcuni settori, quali la siderurgia, la chimica, la produzione di autoveicoli. L'espansione produttiva che venne incentivata dalla crescita dell'industria fu così intensa da far parlare di miracolo economico. Il reddito pro capite fu quasi triplicato, mentre la disoccupazione scese a un livello molto basso, intorno al 3% della popolazione. I traguardi raggiunti consentirono all'Italia di inserirsi nel gruppo delle prime dieci potenze industriali del mondo. I cambiamenti economici ebbero immediati riflessi sulle abitudini degli italiani, i cui valori tradizionali, tipici di una società contadina, furono sostituiti, soprattutto nelle nuove generazioni, da stili di vita più individualisti, aperti ai consumi e al conseguimento del benessere. Si accentuarono anche alcune debolezze storiche, prima fra tutte il divario tra Nord e Sud. La concentrazione delle grandi fabbriche nelle regioni settentrionali mise in moto un flusso migratorio interno dal Sud agricolo al Nord industrializzato, che impoverì le regioni meridionali delle risorse umane, senza per altro estinguere del tutto l'emigrazione verso l'estero.
Del programma politico del centrosinistra furono realizzati solo alcuni punti, quali la riforma della scuola media (unificazione e obbligo fino a 14 anni), la nazionalizzazione dell'energia elettrica, il sostegno all'economia meridionale con il finanziamento della Cassa per il Mezzogiorno e con iniziative di industrializzazione, come l'industria automobilistica a Pomigliano e quella petrolchimica a Gela.
Tra il 1967 e il 1970 nelle fabbriche del nord si mise in moto una grande mobilitazione degli operai, che richiedevano salari più elevati, al passo con la media europea, migliori condizioni di lavoro in fabbrica e di vita nelle città. Nel 1968 esplose la contestazione degli studenti, in sintonia con i movimenti pacifisti e le rivolte scoppiate nelle università degli Stati Uniti (dove i giovani avevano protestato duramente contro la guerra nel Vietnam), francesi e tedesche (vedi Movimento studentesco). Gli operai, organizzati nei sindacati, riuscirono a ottenere sia incrementi di reddito sia il riconoscimento dei diritti in fabbrica, sanciti dall'approvazione dello Statuto dei lavoratori (1970), importante strumento per la difesa della dignità e della libertà del lavoratore dipendente.
A scuotere la convivenza civile intervenne quella che è passata alla cronaca e alla storia italiana come "strategia della tensione", una lunga sequenza di attentati terroristici che causarono centinaia di morti. Il primo atto terroristico avvenne a Milano nel 1969 (bomba alla Banca nazionale dell'agricoltura); seguirono poi gli attentati di Brescia (1974), durante una manifestazione sindacale, e della stazione di Bologna (1980), con 92 vittime, la bomba sul treno Milano-Napoli (1984), solo per ricordare gli attentati di maggiore violenza. Sebbene la responsabilità penale di molti degli atti terroristici che sconvolsero l'Italia in quegli anni non sia mai stata completamente accertata, è da tempo chiaro che fu voluta e perseguita da gruppi di potere politico, militare ed economico per impedire o quantomeno ostacolare l'affermazione dei partiti di sinistra, in un quadro internazionale ancora molto condizionato dallo scontro tra il blocco occidentale e quello comunista. Secondo quanto le indagini riuscirono ad accertare e secondo alcune sentenze definitive, in molti casi gli attentati furono opera materiale di militanti di gruppi di estrema destra, e vi fu implicato quel complesso sistema di potere occulto con ramificazioni in settori dei servizi di sicurezza, in associazioni segrete (logge massoni), nelle istituzioni, con l'obiettivo di destabilizzare il paese e di innescare una svolta autoritaria.
Dalla metà degli anni Settanta il terrorismo praticato in Italia non fu solo quello di destra; si formarono gruppi clandestini di terroristi di sinistra (le Brigate Rosse e altre formazioni analoghe), che inizialmente effettuarono sequestri di persona e ben presto passarono ad attentati veri e propri, con ferimenti e omicidi di magistrati, uomini politici, poliziotti, giornalisti, professori universitari e sindacalisti. Loro scopo era di mettere in crisi lo stato democratico per provocare una rivoluzione anticapitalista.
Il rallentamento dello sviluppo economico, l'emergere di oscure trame reazionarie e soprattutto l'avanzata, nelle elezioni politiche del 1976, del maggiore partito di opposizione, il PCI, determinarono la crisi del centrosinistra. Anche per l'incalzare del fenomeno terroristico, si aprì allora una nuova fase nella storia dell'Italia repubblicana, caratterizzata dalla ricerca, da parte della Democrazia cristiana e del Partito comunista, due forze che avevano un retroterra ideologico contrapposto, di un terreno d'intesa per garantire, in quel delicato momento, stabilità di governo e coesione nazionale. Sul piano concreto, l'intesa si tradusse in un accordo parlamentare tra la maggioranza e l'opposizione per la formazione di due governi a guida democristiana (presidente del Consiglio fu Giulio Andreotti), definiti di solidarietà nazionale, che si ressero il primo, nel 1976, sull'astensione dei comunisti e dei socialisti, il secondo, nel 1978 sull'appoggio esterno (senza ministri) del PCI e di altri partiti. Il democristiano Aldo Moro fu il sostenitore di questa svolta, voluta altresì dal segretario comunista Enrico Berlinguer.
Nel 1978 le Brigate Rosse organizzarono il rapimento e l'assassinio di Moro. L'episodio segnò il culmine, ma anche l'inizio della crisi del terrorismo, colpito da una più efficace azione repressiva svolta da polizia e carabinieri che, servendosi anche delle confessioni di terroristi pentiti, riuscirono a smantellare le organizzazioni clandestine armate. Ma la vicenda del sequestro di Moro segnò anche la fine della solidarietà nazionale: ritornò al governo una coalizione di centrosinistra che, dopo il 1981, si allargò anche al PLI. Il centrosinistra, nella nuova versione di pentapartito, rimase al potere per oltre un decennio, ma propose allo stesso tempo un'ipotesi di superamento dell'egemonia democristiana. Per la prima volta nella storia della repubblica la presidenza del governo fu assunta da esponenti politici non appartenenti alla DC. Capo del governo diventò, nel 1981, il repubblicano Giovanni Spadolini; seguirono, tra il 1983 e il 1987, due governi diretti da Bettino Craxi, segretario del Partito socialista, nel corso dei quali si registrò una breve ripresa economica dopo un decennio di difficoltà. drugswatcher.com

La Guerra Fredda
Con il termine Guerra Fredda si intende quel conflitto che a partire dalla seconda metà del 1945 vide come protagonisti gli Stati Uniti d'America (USA) e l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS), paesi usciti dalla seconda guerra mondiale come le due uniche superpotenze.
Sebbene non si arrivo mai ad uno scontro effettivo combattuto con le armi, soprattutto grazie al potere deterrente del vastissimo arsenale nucleare posseduto da entrambe le nazioni contrapposte, il conflitto si risolse in uno stato di continua tensione politico-economica e diplomatica tra gli stati che costituivano i blocchi formatisi attorno a USA e URSS, nonché in una serie di guerre locali combattute soprattutto nel Terzo Mondo. La durezza del confronto tra i due giganti ebbe origine in primo luogo nell'inconciliabilità delle ideologie poste alla base del sistema statunitense e di quello sovietico (capitalista l'uno, comunista l'altro), che ispiravano quindi interessi geopolitici opposti. Il carattere di bipolarità prodottosi nello scenario mondiale semplificò d'altra parte il quadro internazionale, congelando molte delle dinamiche di scontro che avevano caratterizzato il precedente sistema, dominato da più potenze, con l'esito paradossale di garantire il più lungo periodo di pace nella storia dell'Europa contemporanea.
Il punto di rottura tra Stati Uniti e Unione Sovietica per molti si ebbe quando il presidente americano Harry Truman, nell’immediato dopoguerra, adottò una linea politica decisa nei confronti di Stalin, a capo dell’URSS, rivedendo molte delle posizioni concilianti assunte su diversi temi dal suo predecessore, Franklin Delano Roosevelt, al fine di prolungare oltre la fine delle ostilità l'alleanza con URSS e Gran Bretagna. La crescente diffidenza reciproca caratterizzò quindi le relazioni tra le due superpotenze.
Mentre nuovi motivi di tensione sorgevano in seguito ai tentativi sovietici di estendere la propria influenza in Iran e in Turchia, un discorso tenuto da Stalin nel febbraio del 1946, che confermava l'inconciliabilità tra i sistemi comunista e capitalista, sciolse gli ultimi dubbi statunitensi circa le reali possibilità di cooperazione con gli ex alleati. Enunciando nel marzo del 1947 la dottrina Truman in difesa dei diritti di libertà e autonomia dei popoli, il presidente degli Stati Uniti inaugurò la politica di contenimento del "pericolo sovietico", inviando aiuti economici e militari a quelle nazioni (come la Grecia e la Turchia, le prime a beneficiare degli aiuti) che per la loro instabilità interna erano particolarmente esposte alla propaganda comunista e alle mire espansionistiche di Mosca.
Fu questo contesto di confronto a tutto campo che il giornalista Walter Lippmann definì "Guerra Fredda", termine che entrò subito nell'uso comune. Sul fronte interno delle nazioni occidentali, un tratto caratteristico della Guerra Fredda fu l'insieme di provvedimenti (molto diversi per estensione e radicalità) adottati per controllare l'attività di partiti, movimenti o semplici simpatizzanti comunisti; negli Stati Uniti la sindrome del "pericolo rosso", particolarmente acuta negli anni Cinquanta, trovò esemplare manifestazione nelle campagne di denuncia del senatore Joseph McCarthy. Molto più efficace fu invece l'iniziativa lanciata dal governo statunitense nell'estate del 1948: un piano quadriennale di aiuti economici per oltre tredici miliardi di dollari destinati alla ricostruzione dell'economia e del sistema produttivo dell'Europa occidentale (il cosiddetto piano Marshall), compresa la Germania Ovest. Con la creazione della NATO (1949), il sistema integrato di difesa militare della regione euroatlantica, che coordinava le forze armate delle principali nazioni europee, degli Stati Uniti e del Canada, si tentò di garantire la difesa collettiva nell'eventualità di un attacco dell'URSS e dei suoi alleati.
Estensione e portata della Guerra Fredda crebbero peraltro nello stesso 1949 a seguito dell'esplosione della prima bomba atomica sovietica (che, ponendo fine al monopolio atomico statunitense, diede il via a una continua corsa al riarmo) e del successo in Cina della rivoluzione comunista guidata da Mao Zedong; l'immediata alleanza di quest'ultimo con Stalin fece rientrare anche l'Estremo Oriente nella scena dello scontro bipolare.
Proprio in Estremo Oriente si verificò la crisi più pericolosa del conflitto, quando il regime comunista della Corea del Nord invase la Corea del Sud nell'estate del 1950, dando inizio alla guerra di Corea. Sotto gli auspici delle Nazioni Unite, ma con l'effettiva leadership statunitense, una forza d'intervento internazionale frenò l'avanzata nordcoreana ristabilendo la situazione pre-bellica nella penisola a prezzo di un sanguinoso conflitto protrattosi per tre anni.
Alla morte di Stalin nel 1953 seguì un periodo di rallentamento della tensione, durante il quale il quadro generale sembrò stabilizzarsi; nel 1955, mentre la Germania federale entrava a far parte della NATO e le nazioni dell'Europa orientale opponevano a quest'ultima il patto di Varsavia, si formava un terzo blocco, quello delle nazioni non allineate (per la maggior parte appartenenti al cosiddetto Terzo Mondo), deciso a non accettare che lo scontro tra USA e URSS condizionasse tutto il pianeta.
Una nuova fase di tensione riprese sul finire degli anni Cinquanta a causa della costruzione, da parte di entrambi gli schieramenti, di missili balistici atomici intercontinentali: il muro di Berlino, eretto nel 1961, divenne il simbolo della Guerra Fredda. Nel 1962 sembrò essere imminente una guerra nucleare, quando l'URSS installò a Cuba, sua alleata, alcuni missili in grado di raggiungere il territorio statunitense; di fronte al blocco navale dell'isola ordinato dal presidente Kennedy, Mosca smantellò le basi missilistiche sull'isola.
L'esito della crisi cubana dimostrò la possibilità di passare da uno scontro frontale, teso all'eliminazione dell'avversario, a una "coesistenza competitiva" tra le due superpotenze, le quali d'altra parte stavano assistendo a un progressivo ridimensionamento della rispettiva egemonia: Mosca dovette subire la rottura dell'alleanza con la Cina di Mao e affrontare la rivolta della Cecoslovacchia, chiaro segno del malessere presente oltrecortina; dal canto loro gli Stati Uniti conobbero una pesante sconfitta nella guerra del Vietnam.
Con l'avvento degli anni Settanta veniva così inaugurata la politica della distensione, con i colloqui SALT (Negoziati sulla limitazione delle armi strategiche) intesi sia a rallentare l'ormai costosissima corsa al riarmo, introducendo forme di controllo degli armamenti, sia ad arginare il pericolo di guerre nel Terzo Mondo.
La distensione ebbe un brusco colpo d'arresto con l'invasione sovietica dell'Afghanistan nel 1980 e l'imposizione della legge marziale in Polonia nel 1981 per stroncare i moti di protesta guidati dal movimento democratico di Solidarnosc; il governo statunitense decise dapprima di non ratificare il trattato SALT II, quindi, sotto la presidenza di Ronald Reagan, di rilanciare drasticamente la competizione nucleare, dando seguito al costosissimo progetto dello scudo di difesa spaziale, nonché di incrementare il sostegno ai movimenti di resistenza ai regimi comunisti in America latina, Asia e Africa.
Nel 1985 Michail Gorbaciov, esponente di punta di una nuova generazione di leader politici, giunse al potere in Unione Sovietica; lanciando le parole d'ordine glasnost e perestrojka, il presidente si accinse a riformare radicalmente il sistema sovietico per porre fine alla lunga contesa con l'Occidente, i cui costi erano divenuti per Mosca ormai insostenibili. Conseguenza diretta di ciò fu il crollo delle tensioni tra Est e Ovest (sancito dalla sottoscrizione di nuovi accordi sul disarmo nucleare e convenzionale), e all'interno del Blocco Orientale il ridimensionamento dell'egemonia sovietica.
La caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989 e il successivo sfaldarsi dell'intero blocco comunista, la riunificazione delle due Germanie nel 1990, il collasso e la disgregazione dell'URSS nel 1991 furono le principali tappe che posero fine alla Guerra Fredda e al sistema comunista in Europa.



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